09 ottobre 2022
(di Lorenzo Biscontin) A fine settembre è stato presentato al Caffè Tommaseo di Trieste il Prosecco Trieste DOC “Audace”. Secondo il dizionario Treccani audace è “Chi ha coraggio e lo dimostra esponendosi in imprese difficili o pericolose” e, se permettete la battuta, questo Prosecco Trieste DOC è Audace di nome e di fatto perché viste le prove che ha osato affrontare. La prima far collaborare insieme due territori, il Carso Triestino e le colline di Conegliano, tra cui ci sono stati, e continuano ad esserci, un po’ di dissapori dal momento dell’istituzione della Doc Prosecco nell’ormai lontano 2009.
C’è riuscito grazie all’amicizia ed alla collaborazione che lega da generazioni due famiglie: la famiglia Parovel, che produce vini ed olio extravergine d’oliva nella parte più orientale del carso triestino fin dal 1898, e la famiglia Serena che produce e commercializza vini a Conegliano fin dal 1881.
Due famiglie che hanno voluto unire le forze e le competenze di Parovel Vigneti e Oliveti 1898 e Serena Wines 1881 per realizzare un sogno di sublimazione del territorio di triestino: produrre un prosecco Prosecco Trieste DOC affinato nelle acque del golfo su cui si affacciano i vigneti.
L’uva quindi è stata raccolta dai vigneti di proprietà di Parovel a San Dorligo della Valle. L’estremità orientale del Carso Triestino è caratterizzata dal flysch, ovvero un terreno sedimentario in cui gli strati di arenaria si alternano a quelli di marna. Un terreno con caratteristiche fisiche molto diverse dalla terra rossa tipica delle zone più occidentali della provincia, a cui normalmente si associa il Carso Triestino.
Un terreno ricco di ferro e manganese dove le rese sono tra i 50 e 60 q.li di uva/ha (anche per la glera) e che dà origine a vini sapidi, anche molto sapidi, e se vi capiterà di assaggiare la Malvasia prodotta da Parovel capirete cosa intendo.
Dopo la vendemmia manuale a fine agosto 2021 le uve sono state raffreddate per preservare gli aromi e pigiate con pressatura soffice per ottenere il mosto fiore. Fin qui tutto (quasi) normale. Poi è stata la volta la volta di Serena Wines 1881, che ha dovuto affrontare i possibili problemi legati alla seconda difficile prova affrontata dal Prosecco Doc Audace: la permanenza sul fondo del golfo di Trieste a venti metri di profondità.
Per evitare danneggiamento delle etichette si è adottata la soluzione di mettere due etichette sovrapposte, con quella esterna leggermente più grande a protezione di quella inferiore, mentre per proteggere il tappo si è adottata una doppia capsula. Poi le bottiglie inserite nelle ceste di acciaio sono state immerse in un’area interdetta alla navigazione, sai mai che a qualcuno venisse l’idea di gettare l’ancora proprio sopra alle bottiglie. E si può facilmente credere ad Elena Parovel quando racconta della leggera angoscia che ha provato nel vedere le bottiglie sparire sotto i suoi occhi.
Ma com’è la vita (del vino) a 20 metri di profondità?
L’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale ha analizzato l’ambiente marino in cui si sono affinate le bottiglie di Prosecco DOC Audace riscontrando come la “cantina subacquea” sia stata colonizzata da organismi animali e vegetali: pesci, molluschi, stelle marine, e alghe hanno fatto delle 14 ceste la loro casa. Importante l’alto livello di biomassa e di clorofilla riscontrato sull’irradiazione luminosa.
Proviamo a confrontare l’ambiente della “cantina subacquea” con quella tradizionale:
- Pressione: 3 atmosfere invece di 1.
- Luce: la radiazione solare si riduce del 50% già a 50 cm di profondità ed è dell’1% a 100 metri. Potremmo dire che le bottiglie di Prosecco DOC Audace si sono affinate in una condizione di forte penombra, anche per lo schermo prodotto dalla massa di alghe presenti. Si tratta però di una luce molto diversa da quella terreste perché nei primi 15 metri di profondità l’acqua assorbe completamente la lunghezza d’onda del rosso. A 20 metri la luce che arriva avrà gli spettri del giallo-verde e del blu-azzurro.
- Ossigeno: la quantità di ossigeno disciolto a 20 metri di profondità è sostanzialmente nulla rispetto al 20% presente nell’aria della cantina.
- Temperatura: variabile al variare delle stagioni in entrambi i casi (per cantine in superficie)
- Micro-remuage: il moto ondoso e l’alternarsi delle maree generano delle oscillazioni sub-inerziali delle bottiglie immerse, ovvero cullano le bottiglie di Prosecco DOC Audace nel loro riposo sottomarino.
Tutto questo evidentemente ha degli effetti sul profilo sensoriale del vino e quindi arriviamo alla degustazione.
Il colore è di un giallo paglierino carico, più intenso rispetto ad un classico Prosecco DOC, per le basse rese in vigneto, il lungo affinamento e (forse) per la leggera e particolare irradiazione luminosa.
Il perlage è estremamente fine, compatto e persistente. Qui potrei scommetterci che c’entra la pressione dell’acqua.
L’impatto dei profumi è meno intenso, ma con una durata più lunga rispetto ad un classico Prosecco DOC. Nello spettro odoroso ritroviamo i tipici fiori bianchi e la frutta matura unite a note minerali e sapide, che anticipano il sapore.
Al palato il Prosecco DOC Audace si nota completo e complesso. La ricchezza aromatica fa sì che l’acidità non risulti aggressiva, pur avendo un residuo zuccherini di soli 6 g/l. Sapidità e mineralità in bocca sono ancora più evidenti che al naso, quasi a diventare salmastre (sarà la suggestione?), ma mai sgradevoli perché ingentilite dalle note di mela matura. Il sorso di Prosecco DOC Audace è molto, molto luuuungooooooo e molto pulito. In sintesi, si potrebbe definirlo uno spumante austero.
C’è un’ultima particolarità organolettica degna di nota: ogni bottiglia è un po’ diversa dall’altra, alcune sono anche molto diverse tra loro. Magari è solo che deve ancora riposare un altro po’ per riprendersi dallo stress della riemersione, o forse è per la stella marina che si appoggiata proprio su quella bottiglia lì …