Lorenzo Biscontin
Il 2024 si chiude con una forte preoccupazione per l’andamento dei consumi di vino a livello mondiale: l’OIV ha stimato per il 2023 un consumo di 221 milioni di hl, che rappresentano un calo del – 2,6% rispetto al 2022 e del – 7% rispetto alla media degli ultimi 10 anni.
I numeri relativi al primo semestre di quest’anno e le impressioni di fine anno raccolte dai produttori fanno prevedere un’ulteriore diminuzione anche per il 2024. Significativo il dato degli USA, primo mercato a livello mondiale, che nei primi 10 mesi indicava un calo del -7,2% rispetto al 2023.
Questa diminuzione del consumo di vino è in realtà una diminuzione di consumi esclusivamente di vino rosso, ed è un fenomeno di lungo periodo: un’analisi pubblicata dall’OIV nel 2023 mostra come nel periodo 2000 – 2021 i consumi di vino bianco e rosato siano cresciuti costantemente, mentre quelli di vino rosso siano in calo a partire dal 2007.
Nel quinquennio 2017-2021 i consumi di vino rosso a livello mondiale rappresentavano il 48,3% del totale, contro il 51,3% del quinquennio 2000 – 2004.
Un grafico elaborato dall’American Association of Wine Economist su dati Agrimer mostra come il calo del fatturato di tutto il vino francese nella Grande Distribuzione francese nel periodo 1995 – 2022 sia dovuto interamente alla diminuzione delle vendite di vino rosso, con bianco e rosè in crescita.
Se il problema a livello di dati di mercato è chiaro, altrettanto non si può dire rispetto alle sue cause, ovvero alle motivazioni per cui le persone stanno riducendo i loro consumi di vino rosso. Non esistono ricerche svolte sul consumatore disponibili pubblicamente da parte dei numerosi enti che rappresentano le cantine e personalmente non ne ho sentito parlare da opinion leaders e/o managers di cantine o consorzi né italiani né stranieri.
In assenza di informazioni oggettive e specifiche, il settore si sta muovendo su una diffusa e pericolosa semplificazione: visto che il consumatore sta mantenendo/aumentando i consumi sui vini bianchi e rosati, preferirà vini rossi più “freschi”.
Una semplificazione che ritengo pericolosa innanzitutto perché sorvola sul fatto che la “freschezza” dei vini bianchi deriva innanzitutto dal fatto che si bevono freddi, prima che dal loro profilo sensoriale.
In attesa degli studi sulle motivazioni di consumo e non consumo del vino rosso che auspico si realizzino al più presto, vista l’importanza del problema per tutto il settore viti-vinicolo, provo a collegare i puntini per affrontare il problema del calo del consumo dei vini rossi.
Secondo me potrebbe esserci un potenziale di mercato per vini rossi equilibrati, bilanciati e leggeri. Concetto diverso da “freschi” e soprattutto profilo sensoriale estremamente diverso da quello della maggioranza dei vini proposti come “freschi” che mi è capitato di bere negli ultimi mesi.
Mettetevi comodi, perché questa era solo la premessa.
Il vino rosso è sostanzialmente un vino bianco con in più gli antociani ed i tannini.
La constatazione qui sopra può sembrare ovvia, ma è invece fondamentale perché oggettiva e non modificabile, potremmo dire ontologica , ed ha storicamente determinato le differenze produttive, gustative e di consumo tra i vini bianchi, rosati e rossi.
Senza voler fare qui una storia del vino, è nondimeno necessario ricordare che fino ad almeno 150 anni fa il consumo di vino rappresentava il modo più pratico ed economico per assumere una bevanda sicuramente salubre rispetto all’acqua.
In questo contesto la qualità del vino era fissa nello spazio, ovvero che per ogni territorio il vino di qualità era quello prodotto in quel luogo, e nel tempo, ovvero veniva prodotto sempre allo stesso modo e quindi rimaneva immutabile nel tempo.
Il profilo sensoriale era buono per definizione, sia perché l’unico e soprattutto perché veniva assimilato naturalmente in quanto parte della cultura alimentare. Le persone crescevano abituandosi a quel gusto.
Questo vino era in grandissima parte vino rosso, perché quello tecnologicamente più facile da fare con attrezzature di cantine che non permettevano di separare le bucce dal mosto durante la pigiatura né controllare le temperature di fermentazione. La funzione ossidante svolta da antociani e tannini infatti riduce lo sviluppo di difetti nei vini rossi e ne permette l’invecchiamento.
I vini rossi quindi erano storicamente sia i vini più diffusi che quelli più pregiati rispetto ai bianchi,
Con questo retroterra culturale il vino arriva nella società dei consumi del secondo dopoguerra, con la relativa urbanizzazione della popolazione, allargamento dello spettro delle bevande disponibili (curiosamente Francia ed Italia sono i due principali consumatori di acqua imbottigliata) e spostamento del consumo di vino dalla necessità dell’autoconsumo all’edonismo. Dal punto di vista enologico si lo sviluppo le conoscenze e le tecnologie che permettono di migliorare la produzione di vini bianchi.
Soprattutto con questo retroterra culturale, che vede il vino rosso come il vino per antonomasia, il vino si è espanso verso nuovi mercati con limitata o nulla esperienza di produzione e di consumo.
Si tratta di un retroterra culturale talmente forte che ancora oggi se chiedete ad un programma di Intelligenza Artificiale di generare un’ immagine con del vino, senza specificarne il colore, il vino nell’immagine sarà rosso.
Le preferenze del consumo di bevande a livello mondiale.
Per valutare le prospettive del consumo di vino rosso conviene osservare la situazione del consumo di bevande in generale.
La prima bevanda consumata al mondo è il tè e la seconda è il caffè.
Si tratta di due bevande con modalità e momenti di consumo ben specifici. Rispetto alle altre bevande c’è un alto grado di separabilità tale da poterle sostanzialmente tralasciare come sostituti/concorrenti.
Seguono birra, soft drinks / energy drinks, spirits / cocktails e vino. Tra queste bevande il grado di separabilità è più debole, trattandosi di bevande tra loro sostituibili in diverse situazioni e momenti di consumo.
Osservando questo gruppo si nota come nelle preferenze di consumo di bevande tendano a prevalere quelle gassate e/o bevute fredde.
Uno scenario favorevole agli spumanti ed ai vini bianchi e rosati, che non a caso sono in crescita, ma sfavorevole al consumo di vino rosso.
Conviene sottolineare come la preferenza nei confronti delle bevande fresche non dipenda solo dalla cultura alimentare delle persone ma anche dalla loro disponibilità di frigoriferi e congelatori.
Il consumo di bevande fredde e cocktails negli USA ha cominciato a crescere negli anni ’20 del secolo scorso con la diffusione del frigorifero ed ha seguito poi una tendenza simile in Europa nel secondo dopoguerra.
Sembra che le persone, se possono, preferiscano bere freddo.
Sarà interessante osservare cosa succederà nel medio periodo in Cina, dove il frigorifero ha recentemente raggiunto una penetrazione nel 100% delle famiglie, e nel lungo periodo in India, dove attualmente la penetrazione è del 35%.
Tralascio in questa analisi il tema della tendenza della riduzione del consumo di alcol, non perché non importante, ma per focalizzarmi sul concetto di “freschezza” e sul confronto vini bianchi e rosati vs. rossi.
Evoluzione dei consumi dei vini rossi nel periodo 2000 – 2021 (fonte OIV).
Nel cercare soluzioni riguardo alla riduzione del consumo di vini rossi conviene sottolineare come lo spostamento delle preferenze dei consumatori verso i vini bianchi e rosati sia un fenomeno che nei principali mercati mondiali è iniziato oltre vent’anni fa, ovvero in piena (presunta) “parkerizzazione” del mercato.
Parliamo degli anni in cui si affermavano sul mercato internazionale i vini rossi di Bordeaux, USA, Australia, Cile, Supertuscans italiani, ecc… caratterizzati da elevato grado alcolico, corpo pieno e rotondo, elevata concentrazione di colore e di aromi fruttati.
Malgrado l’opinione comune (il pericolosissimo “buon senso”) credesse, ed ancora creda, che questi allora fossero i vini di moda, nel 2000 i vini rossi rappresentavano meno del 50% dei consumi a volume in USA, Italia, UK, Spagna, Argentina e Australia. Rispettivamente il 1°, 3°, 5°, 6°, 8° ed 11° mercato per consumi a volume a livello mondiale. E dal 2002 al 2021 in tutti questi mercati la quota di consumo dei vini rossi ha continuato a diminuire, con la sola eccezione dell’Argentina.
In Francia (2° mercato mondiale di consumi di vino a volume) la quota di mercato dei vini rossi a volume è scesa sotto al 50% nel 2011 e da quel momento ha continuato a diminuire fino a raggiungere il 39% nel 2021.
In Germania (4° mercato mondiale per consumi a volume) il vino rosso è sceso sotto al 50% del mercato solamente nel 2016, va però notato come la maggior parte dei vini rossi consumati in Germania sia di produzione nazionale, quindi con profili organolettici che vanno proprio nella direzione della “freschezza” e non dell’”opulenza”.
In Russia (7° mercato mondiale per consumi di vino a volume) il vino rosso vale a volume più del 50% del mercato in quasi tutti gli anni della serie 2000 – 2021, ma va però notato il peso preponderante di vini rossi dolci e semidolci importati.
Significa quindi che tutto il settore del vino negli ultimi 25 anni ha preso un grande abbaglio a livello globale? In un certo senso sì: è rimasta abbagliata dalla formidabile crescita della Cina passata da consumare 8 milioni di hl di vino rosso nel 2020 a consumarne 16 milioni nel 2017. La crescita risulta ancora più elevata se si osservano i dati precedenti al 2000, e questo vino rosso era in grandissima prevalenza vino “stile-Parker”.
In altre parole, la presunta preferenza mondiale per i vini opulenti era principalmente un fenomeno cinese quantitativamente parlando. Nel momento in cui il consumo della Cina è crollato a valori pre-2000, tutti i nodi che già esistevano sul mercato sono venuti al pettine.
Da questo breve excursus appare evidente quanto sia arbitrario, quindi pericoloso, affermare che i consumi si siano spostati su vini bianchi e rosati perché è passata la moda di un certo stile di vino rosso. I consumi si erano già spostati quando i vini rossi opulenti erano di moda (secondo gli operatori del settore) e questa tendenza è semplicemente proseguita.
Stesso discorso vale per l’aumento delle temperature medie: il consumo di vini bianchi e rosati superava quello dei vini rossi anche prima dall’aumento della temperatura negli ultimi vent’anni a seguito del cambiamento climatico.
Sul concetto di freschezza del vino.
Mi è sembrato opportuno dedicare un paragrafo a questo concetto considerata la frequenza con cui nel settore si sente parlare della necessità di proporre sul mercato vini rossi “freschi” per intercettare le nuove tendenze di consumo.
Come spesso capita quando si tratta di vino, anche in questo caso si presenta il problema del significato dato alle parole, in questo caso “fresco”. Cercherò di farlo prendendo il punto di vista del consumatore non esperto che attribuisce alle parole il loro senso comune, per capirsi quella maggioranza convinta che “extra dry” sia la più secca tra le tipologie di spumanti.
In questo senso potremmo dire che una bevanda risulta “fresca” in base alla temperatura di consumo e quando dopo averla bevuta la sensazione nel palato rimane pulita, neutra. Ad esempio, non si definisce fresco né un tè che viene bevuto caldo né una vodka ghiacciata perché, dopo averla bevuta all’interno del palato si sprigiona una sensazione calda dovuta al contenuto alcolico.
Nel caso dei vini bianchi e rosati abbiamo sia la freschezza che deriva dal consumo ad una temperatura tra 6° / 8° C sia quella lasciata al palato dall’acidità che pulisce e “rinfresca” la bocca alla fine del sorso.
Nel vino rosso la presenza dei tannini rende la situazione molto diversa e più complicata. Va infatti ricordato che le tre tipologie di maturazione dell’uva, tecnologica (rapporto tra il contenuto di zuccheri ed acidità), polifenolica (concentrazione dei tannini nei vinaccioli e nella buccia) ed aromatica (concentrazione delle componenti aromatiche) difficilmente si verificano contemporaneamente.
Per l’anticipo della maturazione tecnologica determinato dal riscaldamento globale, la scelta del momento della vendemmia diventa sempre più spesso una scelta di compromesso tra le tre diverse maturazioni, sacrificando in parte quella polifenolica ed aromatica per evitare di avere vini eccessivamente alcolici.
Conviene ricordare i polifenoli in generale, ed i tannini in particolare, sono i responsabili della sensazione saporifera dell’amarezza e di quella tattile dell’astringenza, la cui percezione risulta aumentata all’aumentare dell’acidità del vino ed all’abbassarsi della temperatura di servizio.
Amarezza ed astringenza caratterizzano il profilo sensoriale dei vini rossi prodotti nei climi freddi e piovosi, dove gli acini faticano a raggiungere la concentrazione zuccherina necessaria per la maturazione tecnologica ed è quindi necessario vendemmiare senza che nessuna delle tre maturazioni abbia raggiunto il suo livello ideale, facendo prevalere l’acidità.
In sintesi l’equazione “acidità=freschezza” che vale per i vini bianchi, non funziona nel caso dei rossi perché porta a vini squilibrati dal punto di vista sensoriale, che potranno acquisire gradevolezza solo con l’invecchiamento se possiedono tutte le altre caratteristiche per durare nel tempo.
Quindi, cosa fare con il vino rosso?
Ricerca di marketing.
La prima cosa da fare dovrebbe essere realizzare delle ricerche sul consumatore per conoscere le ragioni di non consumo di vino rosso. Avere un quadro chiaro ed oggettivo della situazione è evidentemente necessario per affrontarla con successo.
Ancor di più nel settore del vino in cui le cantine agiscono in base ad impressioni e preconcetti, talmente forti da autoalimentarsi. Nello scrivere questo articolo ho trovato due diversi istituti di ricerca americani che vendevano analisi indagini sullo scenario del mercato globale dei vini rossi prevedendo crescite con CAGR dal 2024 al 2032 che andavano dal 5% al 7,5%.
Ribadisco: è indispensabile acquisire conoscenza primaria di cosa stanno pensando e facendo i consumatori perchè le analisi basate su dati secondari raccolti dagli operatori del settore rischiano di essere distorte.
Consapevolezza che il consumo di vino (rosso) non è univoco, ma segmentato.
Il mercato del vino rossoè segmentato per motivazioni, situazioni e momenti di consumo. Pensare che il calo dei consumi sia dovuto alla carenza di proposte di vini rossi “freschi” è fare una scommessa al buio (vedi sopra).
I dati delle vendite delle diverse tipologie di vino sui principali mercati non mostrano crescite significative di vini “freschi” a scapito di quelli più corposi.
Anzi i dati per il mercato USA raccolti da Sipsource relativi ai primi 9 mesi mostrano un aumento del 3% per le vendite in valore dei vini rossi luxury italiani, contro un -7% delle vendite di vino rosso in generale (-17% per la Francia). Si tratta di Brunello di Montalcino, Barolo, Bolgheri, Chianti Classico e Barbaresco. Non esattamente vini che si definirebbero “freschi”
E come interpretare la crescita delle vendite dei vini rossi invecchiati in botti di bourbon negli USA e dei i vini con un certo grado appassimento in Nord Europa e Scandinavia.
In altre parole, non si evidenzia una sostituzione delle tipologie di vino rosso più calde con altre più “fresche”, quanto piuttosto una riduzione netta di consumo di vino rosso.
Osservando i dati di mercato appare quindi ulteriormente rischioso focalizzarsi sulla produzione di vini rossi con profilo organolettico più “fresco”, riducendo il presidio sui segmenti che consumano vini, pieni, corposi e rotondi.
Il settore sta ragionando come se i vini rossi “freschi” possano risolvere la crisi del vino rosso, ma se questi invece della soluzione fossero il problema? Se il calo del consumo di vino rosso derivasse proprio dal fatto che le persone hanno smesso di bere queste tipologie di vino una volta esauritesi le ragioni tradizionali di consumo? Magari gli stili attuali soddisfano le preferenze dei consumatori (attuali e potenziali) di vino rosso, semplicemente il mercato costituito da questi consumatori è inferiore rispetto a quello di trent’anni fa.
Nel mercato mancano vini più “leggeri”, che è diverso da “freschi”.
Con tutte le perplessità ed i dubbi espressi nei paragrafi precedenti, personalmente se oggi dovessi sviluppare una nuova proposta nel mercato dei vini rossi punterei su un vino leggero, con un profilo basato su pochi, chiari, aromi primari, equilibrato e rotondo nel senso di non “affilato” e senza “spigoli”.
Magari frizzante o spumante sia per essere in linea con le preferenze mondiali sulle bevande in generale che per poter dosare più facilmente il residuo zuccherino in modo da bilanciare acidità ed astringenza,
Perché sono convinto che per un consumatore dal palato non “educato” (per abitudine o passione) nei vini rossi passare da “buona acidità” a “troppa acidità” è un attimo.
Ringraziamento.
Voglio ringraziare il mio amico ed ex collega Loris per avermi condiviso la sua sapienza enologica. Senza il suo contributo non sarei riuscito a chiarirmi le vaghe idee che avevo riguardo al paragrafo sul concetto di freschezza del vino.
Tutto il contenuto di questo articolo resta comunque di mia esclusiva competenza e responsabilità.