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Gravner: l’innovazione non si ferma.

Lorenzo Biscontin

La storia di Josko Gravner e dei suoi vini è nota, vale però la pena di riassumerla brevemente sia perché aiuta a contestualizzare la notizia di oggi, sia per non escludere i nuovi appassionati consumatori che magari, giustamente, non la conoscono.

Vignaiolo nel Collio goriziano pluripremiato dalla critica e dal mercato, alla fine degli anni ’90 dello scorso millennio disconosce i suoi stessi vini perché li trova “massificati”, “omologati” e “artificiali” e così cambia tutto.

Abbandona i serbatoi di acciaio, adotta le anfore georgiane e torna alle fermentazioni naturali senza controllo della temperatura della sua tradizione contadina.

Dalla tradizione contadina recupera anche la fermentazione e macerazione delle uve a bacca bianca sulle bucce e così inventa gli orange wines, aggiungendoci di proprio i lunghissimi affinamenti, 7 anni, anche per i vini bianchi. All’inizio (è il 1997) viene stroncato dalla critica, ma con il tempo diventa il mito dell’enologia mondiale che è oggi.

L’originalità e l’innovatività di Gravner sta nel non accontentarsi di fare il miglior vino possibile con gli strumenti e le tecniche disponibili, ma nel ricercare, e se serve creare, gli strumenti e le tecniche per realizzare la propria idea di vino (visione che, secondo me, condivide con Maurizio Zanella di Cà del Bosco, anche se le due realtà possono sembrare distanti).

Da questo concetto discendono, in modo direi lineare, le sue scelte radicali come l’abbandono della chimica di sintesi in vigneto ed in cantina o l’estirpazione nel 2012 di tutti i vitigni internazionali per lasciare posto al bosco e concentrarsi solo sugli autoctoni Ribolla e Pignolo (vale la pena di ricordare che al momento della decisione il vino più famoso dell’azienda era il Bianco Breg, uvaggio Sauvignon, Pinot Grigio, Chardonnay e Riesling Italico).

La visione di Gravner quindi non è nè di una tradizione scleroticamente ferme nel passato, né di una innovazione iconoclasta fine a se stessa.

E’ la ricerca del vino supremo, ideale, non ideologico.

Una visione che si realizza attraverso la sperimentazione.

L’ultima in termini di tempo riguarda l’adozione del vetro come materiale per serbatoi di affinamento del vino, grazie alle sue qualità di inerzia, resistenza e facilità di pulizia. Quello che serviva a Josko Gravner ed al nipote Gregor Pietro che lo affianca in cantina però non esisteva e quindi è stato creato dalla collaborazione con due diverse aziende: la EnoKube e la Pfaudler.

Nel primo caso Gravner insieme a Enrico Cusinato ed il maestro vetraio Vittorio Benvenuto hanno realizzato una vasca in vetro da 10 hl, già utilizzata in cantina dalla scorsa primavera per l’affinamento di piccoli lotti con risultati positivi grazie alle caratteristiche del vetro.

L’unico limite è la ridotta capacità, perché il vetro non riesce a sostener i pesi elevati di serbatoi più grandi.

Da qui la scelta di contattare Pfaudler Italia, azienda specializzata nella costruzione di apparecchiature vetrificate per l’industria chimica e farmaceutica e parte del gruppo GMM Pfaudler.

La collaborazione ha portato alla realizzazione di serbatoi in acciaio vetrificato dalla capacità massima di 70 ettolitri, il cui design combina la robustezza dell’acciaio e la resistenza chimica del vetro. Dopo l’accurata progettazione e costruzione iniziale, i serbatoi in acciaio subiscono il processo manuale di vetrificazione interna che prevede un primo strato base e successive altre di copertura. A ogni vetrificazione segue un trattamento termico di circa 900 °C in modo da unire l’acciaio e il vetro in maniera permanente rendendolo un vero e proprio materiale composito. Il rivestimento vetroso garantisce una superficie liscia e senza porosità, altamente igienica e che non rilascia sostanze indesiderate, rendendolo ideale per lo stoccaggio e l’affinamento del vino. Oltre alla lunga durata di esercizio, i serbatoi vetrificati sono interamente riciclabili, favorendo in questo modo l’impatto ambientale e migliorando la sostenibilità.

“La costante ricerca di innovazione non è mai fine a se stessa, ma nasce dalla volontà di migliorare ogni aspetto del processo produttivo, restando fedeli alle nostre radici – dichiara Mateja Gravner –. Con EnoKube abbiamo trovato una soluzione perfetta per le piccole produzioni di alta qualità, dove ogni dettaglio fa la differenza. Pfaudler, invece, ci ha permesso di affrontare la sfida di affinare i normali volumi di produzione senza compromettere la qualità del vino. Entrambe le soluzioni sono fondamentali per noi, perché rappresentano due facce della stessa medaglia: la ricerca della perfezione nel vino, indipendentemente dalla quantità. Ogni contenitore ha un ruolo specifico e prezioso nel nostro processo, e insieme ci permettono di continuare a fare ciò che amiamo”.

 “La collaborazione tra il Gruppo GMM Pfaudler e Gravner rappresenta un passo significativo per entrambe le aziende, leader nei rispettivi settori. È un incontro tra ricerca industriale e natura che apre a nuove opportunità, mercati e soluzioni per entrambi i brand – sottolinea Mauro Bona, Regional Sales Manager di Pfaudler Italy srl–.Per la cantina di Oslavia significa integrare tecnologie all’avanguardia nella sua storica produzione vinicola, per GMM Pfaudler è l’occasione di dimostrare l’adattabilità delle proprie tecnologie a un settore in crescita e di contribuire all’evoluzione di un leader affermato come Gravner”. Nelle mani di Gravner, che effetto avrà il vetro sul profilo dei suoi vini? Per saperlo dobbiamo aspettare fino al 2031, ma siamo ottimisti.

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