Lorenzo Biscontin
Qualche giorno fa l’American Association of Wine Economist ha pubblicato sul suo profilo Linkedin il grafico che vedete in copertina.
L’ennesimo interessante grafico di questo profilo che vi consiglio caldamente di seguire. Lo trovate con la sigla AAWE.
Quello che mi ha colpito di più è la capacità dei superalcolici di essere trasversali attraverso i diversi gruppi demografici.
Il vino è polarizzato sulle donne, over 55, con laurea e reddito alto (queste ultime due variabili sono fortemente autocorrelate).
La birra è invece polarizzata all’opposto sugli uomini, 18-34 anni (ricordo che però di fatto si tratta di 21-34, poiché 21 anni è l’età legale per bere negli USA), non laureati e di reddito basso.
I superalcolici invece si distribuiscono in modo omogeneo nelle preferenze dei consumatori USA. C’è solamente una leggera preferenza per i consumatori sotto i 55 anni.
Come mai?
Poi ieri sempre l’AAWE ha pubblicato il grafico trovate qui sotto e che mostra il risultato di questa trasversalità nei consumi di superalcolici.
Nel periodo dal 1999 al 2023 la quota in valore dei superalcolici nel marcato USA di vino+birra+superlcolici è cresciuta dal 28,2% al 42,2%, erodendo quota principalmente dalla birra.
COME MAI? COME HANNO FATTO?
Al di là del fatto che si tratta di una categoria dove prevalgono marche grandi e forti (lo stesso vale per la birra), la ragione secondo me è perché la categoria “superalcolici” in realtà al suo interno è ampiamente eterogenea.
Whisky, Bourbon, Gin, Tequila, Vodka, Rum, Liquori (dolci), Bitters, ecc… sono sotto-categorie molto diverse tra di loro, percepite in modo diverso dal mercato e posizionate in modo diverso dall’industria.
(Se volete possiamo aggiungere che nessuna si focalizza particolarmente sui luoghi, metodi ed ingredienti di produzione, ma questa è un’altra storia).
La proposta di valore, ovvero i valori proposti, al mercato dai marchi che operano nelle diverse sotto-categorie permettono così di soddisfare i diversi segmenti di consumatori (o coorti, come si dice oggi) ed i diversi momenti di consumo.
Orbene, c’è una lezione che il vino può imparare? Secondo me, molto.
Cosa accumuna un Barolo, un Pinot Grigio delle Venezie, un Fiano, un Montepulciano d’Abruzzo, un Negramaro o un Frappato (solo per restare in Italia) in termini di proposta di valore, ovvero di valori proposti, ovvero di posizionamento? Poco o niente.
Eppure tutti si posizionano sugli stessi valori: territorio, origine, passione, cura, artigianalità, tradizione, famiglia.
Quello che voglio dire è che nella categoria “vino” (italiano) ci sono moltissime sottocategorie ontologicamente diverse che formano un’offerta in grado ampia e variegata in grado di soddisfare i desideri dei diversi segmenti di consumo in termini di servizi (benefits) offerti e prezzo.
Per sfruttare questo potenziale però è necessario cambiare radicalmente l’approccio monoliticamente elitario e scolastico che caratterizza il settore ed adottarne uno nuovo che parta dall’identità VERA dei vini/denominazioni/cantine per rivolgersi con efficacia ai segmenti di consumo più affini.
Va cambiata la PROPOSTA DI VALORE, di cui il liquido è solo uno dei componenti. Il bello è che a livello di settore i vini, inteso come il liquido, per soddisfare meglio il mercato li abbiamo già.