La Maremma evoca l’immagine di un mondo rurale, un po’ periferico e rustico rispetto ad altre zone della Toscana e, forse grazie a questo, rimasto più intatto ed autentico.
Una percezione che nell’immaginario collettivo è legata più alla fascia costiera con i butteri ed i buoi dalle grandi corna a lira, ma che ben rappresenta anche le zone interne dove le colline sono sovrastate dal massiccio vulcanico del Monte Amiata.
Ed è qui che si trovano sette comuni che formano la Denominazione Montecucco: Arcidosso, Campagnatico, Castel del Piano, Cinigiano, Civitella Paganico, Roccalbegna e Seggiano.
L’impronta contadina caratterizza i vini di questa Denominazione relativamente recente, riconosciuta nel 1998 ed elevata a DOCG nel 2011 per la tipologia Sangiovese.
“I nostri vini sono in generale vini rotondi, ma non opulenti” ci ha detto il Presidente del Consorzio Giovan Battista Basile quando gli abbiamo chiesto una descrizione sintetica del loro profilo, “Sono vini che non stancano, dove si ritrovano acidità, bevibilità e freschezza”.
Caratteristiche che derivano innanzitutto dal territorio del Montecucco che si colloca tra la Denominazione Brunello di Montalcino a nord e quella del Morellino di Scansano a sud, con cui ha in comune una piccola superfice, ed è caratterizzato da vigneti collocati tra i 150 e 500 slm.
Le correnti che si creano tra il Tirreno da una parte ed il Monte Amiata dall’altro assicurano una costante ventilazione che favorisce naturalmente lo sviluppo di uve sane. Non a caso tra le 68 aziende produttrici la maggior parte produce in regime biologico.
Ventilazione ed altitudine rendono questa denominazione meno soggetta agli effetti del riscaldamento globale. Inoltre creano una forte escursione tra il giorno e la notte, che facilita la formazione dei componenti che vanno a costituire le cosiddette maturazioni fenolica ed aromatica, permettendo così di raccogliere le uve alla maturazione tecnologica (rapporto tra contenuto di zuccheri ed acidità nell’acino) ideale per lo stile di vino che si vuole ottenere.
“Il Sangiovese Montecucco DOCG potremmo descriverlo come un sangiovese alternativo dove la complessità organolettica si raggiunge con il tempo più che con la potenza. Va ricordato infatti che può essere messo in commercio a partire dal 1 aprile del secondo anno successivo alla vendemmia e che nel caso della Riserva l’immissione sul mercato deve essere successiva al 1 settembre del terzo anno successivo alla vendemmia.”
Un saper fare artigianale, coerente con la dimensione medie piccola (tra i 5 e 10 ettari) e la conduzione famigliare della maggioranza dei produttori e che non riguarda solo il vino. Molti produttori di Montecucco sono infatti agricoltori a 360°, ovvero non sono specializzati in un’unica specifica produzione ma mantengono la classica impostazione dell’azienda in cui si trovano vigneto, seminativo e allevamento. Torna quindi l’approccio “contadino”, intrinsecamente generatore di biodiversità.
Dal punto di vista commerciale le strategie del Consorzio puntano a riequilibrare il rapporto tra Italia ed estero, che oggi vede prevalere le esportazioni con il 60% delle bottiglie vendute. Per le caratteristiche dei vini, ed anche per l’eccellente rapporto prezzo/qualità, i vini Montecucco sono particolarmente adatti a coinvolgere anche quel pubblico di consumatori più giovani che negli ultimi anni si sta un po’ allontanando dal vino. Non solo con Sangiovese DOCG e Rosso DOC ma anche con Vermentino, Bianco e Rosato DOC.
Resta un’ultima curiosità, ma il nome da dove proviene?
“In realtà non c’è una fonte sicura” risponde Basile “esisteva il Castello di Monte Cucco fondato dopo l’anno Mille nel territorio dell’attuale comune di Cinigiano. Nel corso del tempo il castello andò in rovina e fu utilizzato come materiale da costruzione per l’attuale Tenuta Montecucco, che è tra i fondatori del Consorzio. Ma “cucco” è anche il termine locale per indicare il pregiato fungo Ovolo Reale, bene presente nei nostri boschi.”
Chissà che nel nome della denominazione non si nasconda un abbinamento gastronomico.