24 marzo 2022
(di Elisabetta Tosi) Il suo incarico è iniziato ufficialmente il 1 marzo di quest’anno, ma le terre del Soave le conosce già da oltre 10 anni, da quando cioè si è trasferito a Verona per lavorare in Avepa e ha iniziato a girare la provincia di Verona. Igor Gladich (al centro della foto), originario della provincia di Pordenone, è il nuovo direttore dei Consorzi che abitano la Casa del Vino di Soave: quello di Soave, del Durello, di Arcole e Merlara. Laureato in Scienze Forestali all’Università di Padova, dice d’essere un funzionario regionale che ha avuto la fortuna di osservare la DOC Soave anche da Venezia: “Lavorare in Regione mi ha abituato ad avere una visione più ampia a livello anche nazionale e internazionale – spiega – Non dobbiamo mai dimenticarci di vivere in un mercato globale, in cui siamo in competizione col mondo, e dobbiamo considerare questo fatto non un peso, ma uno stimolo a migliorare”.
Che idea aveva del Soave prima di arrivare alla Casa del Vino?
“Vivo in provincia di Verona ormai da 12 anni, quindi il Soave già lo conoscevo. Il suo paesaggio, le peculiarità di questo territorio sono uniche e riconosciute da tutti. Dal mio punto di vista, il Soave è un punto di riferimento nel mondo del vini bianchi, non solo per Verona, ma anche per il Veneto e l’Italia”.
Cosa ha trovato quando è venuto qui?
“Ho trovato un contesto che esce da due anni di pandemia: una situazione che non avevamo mai vissuto. Il mondo del vino è stato costretto a reinventarsi, ad adottare approcci che si pensavano temporanei e invece sono diventati strutturali. Ecco, a Soave siamo a questo punto: è tutto da reinventare. E’ come se davanti avessimo un foglio bianco da riempire. Ho trovato quindi una bella storia da scrivere, e da scrivere insieme”.
Sta già lavorando a qualcosa di concreto?
“Sì. Insieme alle persone che lavorano qui alla Casa del Vino stiamo cercando di ricreare il senso di appartenenza a questo luogo. Le aziende devono sentire che questa è la loro Casa, un luogo di confronto per portare avanti gli interessi di tutti nella denominazione, e un punto di raccordo con le istituzioni. Sono fiducioso, perchè ho trovato persone appassionate, che amano lavorare qui. Io mi ritengo sempre un po’ di passaggio, sono sempre stato abbastanza nomade, sarà la mia origine, mio padre e mio nonno erano esuli istriani… Sento di avere il tempo contato un po’ ovunque, perciò cerco di non sprecarlo, di fare le cose bene e velocemente”.
Una grande difficoltà e una grande forza del Soave?
“La sua grande forza è la sua storia, ma non vorrei continuare a ribadirlo, dobbiamo guardare avanti. Perciò direi che la sua forza sono il suo territorio e la sua cultura nel senso più ampio. Ci sono aziende che fanno vino da secoli e si tramandano questa passione, questa conoscenza da generazioni. Il Soave non è solo un prodotto agricolo: io vengo dalla campagna, mio papà faceva vino a livello amatoriale, perciò conosco la fatica di produrre un grappolo d’uva, soprattutto in un contesto come quello di adesso, in cui il cambiamento climatico, che non possiamo ignorare, ci mette davanti difficoltà incredibili. Il Soave è anche tutto questo: è un territorio, un vino e una storia fatta di amore per la terra anche quando d’inverno vai a potare e fa così freddo che le mani si ghiacciano e i tralci si spezzano”.
E le difficoltà? Quali sono le sfide da affrontare subito?
“Le difficoltà sono quelle che s’incontrano quando c’è da fare qualcosa e bisogna mettere insieme persone diverse, con convinzioni diverse, con storie e idee diverse. Non è un problema solo del Soave, ma di tutti i gruppi: io per passione sono anche allenatore di una squadra di calcio, e l’aspetto più difficile da gestire non è quello tecnico o tattico, ma quello psicologico. Devi riuscire a coniugare le diverse esigenze di tante persone, dando una risposta alle aspettative di ciascuno, perché ogni persona vede le cose dal proprio punto di vista. Quando c’è un problema, o bisogna decidere qualcosa, bisogna sedersi attorno ad un tavolo e parlare. Ci si confronta, si discute, si può anche litigare e alzarsi in piedi per esporre le proprie idee, ma poi bisogna avere l’intelligenza, per il bene della denominazione, di tornare a sedersi, non solo per ascoltare cos’hanno da dire gli altri, ma soprattutto per andare avanti. Tutti insieme”.