Una vecchia pubblicità di Lavazza aveva come slogan “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?”
Voleva così sottolineare il carattere esclusivamente voluttuario del consumo del caffè e di conseguenza la necessità di bere caffè buono.
Un integratore minerale può anche sapere un po’ di medicinale (anzi deve sapere un po’ di medicinale, ma questa è un’altra storia) perché la motivazione del consumo è salutistica, non il piacere sensoriale.
Quello che si diceva decenni fa per il caffè, oggi vale per il vino e chi opera nel settore del vino opera di fatto nel settore del piacere.
Non è sempre stato così. Nei paesi europei storici per produzione e consumo il vino fino a qualche decennio fa era prima di tutto un alimento e una bevanda, quindi il piacere sensoriale passava in secondo piano rispetto ad altri fattori, come ad esempio una gran disponibilità del prodotto.
Che il vino non sia più un alimento direi che è chiaro a tutti. Io ho cercato di approfondire se è ancora una bevanda, così ho lanciato su Google un sondaggio di una sola domanda: “L’ultima volta che avevo sete ho bevuto …”
Qui sotto vedete i risultati.
Va subito detto che 74 risposte sono molto molto poche. E’ dovuto probabilmente al fatto che non ho spinto più di tanto il questionario nella mia rete di contatti visto il gran numero di operatori ed appassionati di vino. C’era quindi il rischio di una distorsione difficile da controllare e da valutare.
Non vale quindi la pena fare analisi troppo approfondite su questi dati, però colpisce il fatto che solo una persona abbia risposto di aver bevuto l’ultima volta che aveva sete. Come colpisce l’assenza del consumo di cocktail e long drinks, soprattutto per questi ultimi che, teoricamente, hanno anche una buona componente dissetante (lo spritz citato da una persona volendo rientra in questa categoria).
Pur non costituendo una prova dirimente dello scarso interesse rispetto al vino come bevanda in senso stretto, i risultati del questionario costituiscono comunque un forte indizio a favore di questa ipotesi.
Possiamo quindi confermare che il principale fattore alla base del consumo di vino è il piacere.
Il vino però è un prodotto complesso e sfaccettato ed il concetto di “piacere” nel suo consumo è tutt’altro che univoco. Non solo prende significati diversi per persone diverse, ma anche per la stessa persona a seconda delle situazioni e dei momenti di consumo.
In compagnia di amici il piacere può essere rappresentato da un vino fresco, leggero, al limite anche un po’ anonimo perché così piace a tutti, mentre se ci troviamo tra “esperti” appassionati il piacere sta in vini complessi di cui scoprire tutti i segreti.
Nei paesi storici di produzione e consumo europei il piacere è principalmente quello dell’abbinamento con il cibo, come dimostra anche il dato di consumi complessivi di vino in Italia nel 2020 ai massimi da 10 anni in corrispondenza dei periodi di lockdown che hanno aumentato il numero di pasti strutturati in famiglia anche a pranzo.
Detto in altre parole, nei paesi di lunga tradizione di consumo si beve vino quando si ha fame, ovvero abbinato al cibo.
Stupisce quindi come la comunicazione e la pubblicità del vino si concentrino quasi esclusivamente sul vino come unico e solo protagonista, invece di farlo “vivere” in contesti gastronomici a 360° che lo collochino insieme al cibo.
Stupisce ancora di più la scarsità, per non dire mancanza, di ricerche ed informazioni sul perché le persone bevono vino e sul perché non lo facciano, soprattutto sui mercati di più recente introduzione. Legati alle motivazioni si determinano i momenti e quindi gli scenari competitivi.
Negli USA ad esempio una recente ricerca della società Gallup indica che tra le diverse bevande alcoliche sono le donne a preferire il vino con il 49% rispetto agli uomini, fermi al 15%. Quali sono le motivazioni delle une rispetto agli altri (e quindi le ragioni di non consumo)?
La conoscenza empirica del mercato mi fa supporre che buona parte dei consumi di vino da parte delle donne americane avviene fuori dai pasti, in momenti di relax da sole o con le amiche. Se così è si spiega come un concorrente del vino possa essere la marijuana legale a scopo ricreativo, settore nel quale non a caso stanno entrando le grandi aziende di alcolici americane.
Io ho il sospetto che questo tipo di ricerche le cantine americane le facciano e quindi conoscano questi dati. Sarebbe auspicabile che succedesse anche per quelle italiane, magari ad un livello più allargato di settore che non di singola cantina, considerata la frammentazione produttiva che ci caratterizza.
Sono informazioni fondamentali se si vogliono realizzare strategie in grado di affrontare il netto calo di interesse, e di consumi, nei confronti del vino da parte dei consumatori più giovani in USA e Cina rilevato dall’Istituto di Ricerca Wine Intelligence.