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Wine Paris diventa la nuova fiera del vino mondiale.

Lorenzo Biscontin

Ad una settimana dalla conclusione di Wine Paris 2025 e dopo aver letto e sentito molti commenti sulla fiera da parte di operatori italiani ed esteri, è il momento anche per me di farne una valutazione a mente fredda.

  1. Wine Paris è la nuova fiera mondiale del vino. Lo dimostrano innanzitutto i numeri: oltre 5.300 espositori (+29% sul 2024) provenienti da più di 54 paesi e oltre 50.000 visitatori (+25% sul 2024) di cui il 45% dall’estero provenienti da 154 paesi.

Sono numeri superiori a quelli di Pro Wein 2024, che difficilmente la fiera di Dusseldorf riuscirà a superare visto che per l’edizione 2025 già si annunciano 3 padiglioni in meno rispetto all’anno scorso.

  • L’internazionalità dei numeri di Wine Paris rispecchia una diversa mentalità degli organizzatori rispetto al Vinexpo di Bordeaux: lì si trattava della fiera del vino francese con un padiglione internazionale già nelle intenzioni. Wine Paris punta invece ad essere la fiera mondiale del vino che si tiene in Francia.

Non a caso lo spazio dedicato agli espositori stranieri è aumentato dell’80%. Ovviamente Parigi aiuta, ma anche il fatto di essersi collocati all’inizio dell’anno. D’altra parte il calendario è stato a suo tempo uno dei vantaggi per cui Pro Wein ha strappato lo scettro di fiera di riferimento mondiale al London Wine Fair.

  • Un altro vantaggio della fiera di Parigi su Dusseldorf è che è più compatta, con i padiglioni più vicini tra loro. Sarà una banalità, ma per un visitatore significa non dover fare chilometri (o prendere la navetta interna) per visitare i vari padiglioni. Qualcuno dice anche troppo compatta, ovvero angusta.

Secondo me lo spazio per lavorare bene c’era ed i padiglioni più piccoli hanno il vantaggio di dare sempre la sensazione di un buon afflusso.

Io però non sono stato nei padiglioni francesi, che mi è stato detto fossero particolarmente fitti.

  • Qualche problema strutturale c’è stato: il lunedì già alle 12:30 non si poteva fare guardaroba perché … erano finiti gli appendini.

Sempre lunedì la temperatura nel padiglione 6, quello dell’Italia era piuttosto bassa (meno male che ho dovuto tenermi il soprabito per il problema del guardaroba).

Soprattutto sono un problema le sale per convegni e masterclass ricavate all’interno dei padiglioni dove si trovano anche gli stand degli espositori: la modalità “silent disco” con i microfoni dei relatori silenziati ed i partecipanti che ascoltano attraverso le cuffie personali è “cool” solo se ci sono più cuffie rispetto agli ascoltatori. Viceversa si rischia di escludere i partecipanti, come è successo nel caso del convegno “A fresch AI-r is blowing in!”

Vedremo se per il 2026 Vinexposium sarà in grado di risolvere questi problemi di crescita.

  • Come all’ultimo Pro Wein anche a Wine Paris lo spazio dedicato agli spirits era rilevante. Viene da chiedersi se questo sia dovuto solo al fatto che non esiste una vera fiera specializzata in liquori e distillati oppure se anche per gli operatori sta aumentando la sovrapposizione del consumo di vino e spirits/cocktail come sta succedendo per il il consumatore.
  • Altro aspetto in comune con l’ultimo Pro Wein, l’area di degustazione dei vini a basso o nullo contenuto di alcol. Dimostrazione dell’interesse crescente per questo segmento sul mercato ed occasione per gli operatori del settore di farsi un’idea dello stato dell’arte dal punto di vista delle capacità produttive / profilo organolettico. Chi snobba questi prodotti dicendo che non sono vino lo fa a suo rischio e pericolo.
  • A proposito di vini a 0% alcol ho finalmente assaggiato il famoso spumante francese 0% alcol e 100% biologico French Bloom, quello in cui ha recentemente investito LVMH, proposto a 28 euro al calice al ristorante del Ritz di Parigi. Quello che mi ha convinto di più è il Rosè, ma anche il millesimato 2022 non sfigura per nulla di fianco a certi cremant. Se siete preoccupati del livello di zucchero, c’è anche l’extra brut a 0 g/l di zuccheri.
  • Sempre a proposito di vini a 0%, ero già praticamente con un con un piede fuori dalla fiera quando ho assaggiato Lavin, progetto a 0% alcol della cantina francese Villa Noira, produttrice di vini biologici e naturali (certificazione Vin Natur). La particolarità è che invece di fare la fermentazione alcolica e poi dealcolare, fanno fare al mosto una fermentazione lattica.

Questo presenta diversi vantaggi dal punto di vista produttivo ed organolettico.

Innanzitutto riduce i costi perché non richiede la dealcolazione, quindi si evitano gli ingenti investimenti nei macchinari per la dealcolazione. Poi è più ecosostenibile, visto che il processo di dealcolazione è particolarmente energivoro (quindi, nuovamente meno costi). La fermentazione lattica non richiede grandi economie di scala, quindi permette la produzione di vini a 0% alcol anche per quantità relativamente piccole. Infine, dal punto di vista produttivo, la fermentazione lattica è un processo già ampiamente utilizzato in moltissimi ambiti del settore agro-alimentare, quindi ampiamente noto e studiato. Il che dovrebbe rendere la sua applicazione nel settore viticolo relativamente semplice.

Dal punto di vista organolettico, trasformando gli zuccheri del mosto in acido lattico, la fermentazione lattica permette di evitare l’eccessiva dolcezza che spesso ancora caratterizza i vino a 0% alcol.

Potenzialmente una rivoluzione copernicana, o per meglio dire un Uovo di Colombo, vista la semplicità del concetto, nella produzione dei vini No-Lo.  

  • Ma alla fine per gli espositori Wine Paris è valsa la pena? Tutti quelli che ho incontrato, per la gran maggioranza italiani, erano soddisfatti per la quantità, qualità e puntualità degli appuntamenti presi (in una fiera si lavora solo con gli appuntamenti, è bene ribadirlo). Solo una cantina si è lamentata del fatto che i buyers loro clienti erano venuti a Parigi, ma hanno preferito non fissare appuntamenti e questo ha reso difficile il lavoro.

Per quanto riguarda la provenienza dei buyers, a occhio si vedeva molta Europa e molto Nord America. Meno Asia, però bisogna considerare che i cinesi erano ancora impegnati a festeggiare il Capodanno cinese (oltre alla situazione non proprio rosea di quel mercato). Vedremo l’anno prossimo.

  1. A Wine Paris c’erano oltre 1.200 cantine italiane, che occupavano l’intero padiglione 6 e qualche scampolo del 5. Alcuni operatori hanno espresso il concetto che una presenza così massiccia sia controproducente perché farebbe un favore ai francesi.

Si tratta di un punto di vista che non capisco: stiamo dicendo che le cantine francesi espositrici a Wine Paris si beneficiano dei visitatori trainati dalla presenza italiana più di quanto le cantine italiane si beneficiano dei visitatori attirati da quelle francesi?

Per quanto orgoglio nazionale si possa avere mi sembra sinceramente paradossale.

Il corollario è che la forza del vino italiano dovrebbe puntare a fare anche in Italia un fiera mondiale, magari spostando “Vinitaly” (le virgolette sono d’obbligo, considerato che credo che Vinitaly sia un marchio di Veronafiere) da Verona a Milano. Strategia che mi sento di sconsigliare perché Vinitaly è la fiera del vino italiano, o meglio la sua festa, ed ha già una dimensione tendente al bulimico. Davvero vogliamo aggiungere altri 3 o 4 padiglioni per accogliere i produttori dal resto del mondo? In questo caso sì che faremmo un favore ai francesi (e spagnoli, australiani, ecc …) distogliendo dalle cantine italiane l’attenzione dei buyers che vengono a Verona da tutto il mondo.

Ci si vede tra un mese a Dusseldorf per capire se e come vorrà reagire Pro Wein.

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